After Lorca


L'ambiente è intimo: quattro persone sono rivolte verso l'ingresso della libreria Modo Infoshop di via Mascarella, altre otto gli danno le spalle guardando dalla parte opposta. Si parla di Jack Spicer, uno dei più grandi poeti americani della seconda metà del secolo scorso, per lo più sconosciuto in Italia.
Dapprima si respira un po' di imbarazzo, ma dopo poco la lettura di alcune liriche scioglie la tensione: il lessico è sfrontato, i suoni stridono, le ambiguità provocano. Chi è Jack Spicer? Difficile da dirsi, sicuramente un uomo controcorrente, tanto in letteratura quanto nella vita: da una parte fu sempre refrattario ai dettami artistici di Auden e dall'altra inficiò la sua carriera accademica rifiutandosi di giurare fedeltà agli Stati Uniti.
«Ginsberg, la beat generation erano pop e noi avevamo già Janis Joplin per quello, Spicer era un coterie author, come si dice: di nicchia? Sì, noi volevamo leggere questo». Nelle parole di Paul Vangelisti, poeta contemporaneo e traduttore statunitense, sembra di vedere davvero il clima intellettuale della west-coast, l'America degli anni '50, il maccartismo, la corsa allo spazio; sembra una conversazione con il passato, con un poeta defunto.
D'altronde, è così che la raccolta After Lorca inizia: con una introduzione fittizia scritta da Jack Spicer che si finge Garcìa Lorca, anzi, da Jack Spicer che si crede Garcìa Lorca. Questa prefazione si fa però tutt'altro che semplice gioco letterario o l'ennesimo dialogo coi morti, è un manifesto di poetica che si nasconde sotto un'autoironia massacrante. "Garcia Spicer", infatti, dichiara che il suo libro non è esclusivamente di traduzioni, ma che «il Signore Spicer sembra trarre piacere nell'inserire o sostituire una o due parole che cambiano completamente il tono e spesso il significato della poesia», o che Spicer ha tradotto poesie di Lorca "scritte dopo la sua morte"; la raccolta si fa dunque intersoggettiva e marcatamente post-moderna, l'Io poetico perde completamente confini identitari facendosi solo "una ricetrasmittente per marziani" (come si definiva lo stesso Spicer).
Il libro è dunque un mondo aperto e Andrea Franzoni coglie l'occasione per complicare ulteriormente il gioco di specchi e riflessi sovrapponendo la propria personalità poetica in una delle prime traduzioni italiane dell'opera spiceriana, pubblicata con la casa editrice bolognese ARGO.
Le parole di Franzoni disegnano uno Spicer militante che crede in una poesia come mezzo per fare la differenza, una poesia sporca pertanto, che lascia alle spalle la pulizia metrica e la perfezione formale e si voce del proprio tempo, con intelligenza, arguzia, gioco linguisitico che non è mai soggettivismo intellettuale.
Dunque, perché tradurre Spicer oggi? Perché è un poeta che abbassa la poesia all'altezza del lettore e desacralizzandola le dà nuova vita. Perché è un poeta della differenza, artistica, politica, sessuale. Perché è un poeta del reale e come egli stesso scrive «ciò che è reale, suppongo, durerà».

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